UNA RETE PER L’INCLUSIONE: PRESENTATO IL PROGETTO DI FORMAZIONE AL LAVORO RIVOLTO A 200 RAGAZZI DEL CIRCUITO PENALE IN 5 REGIONI DEL SUD
È stato presentato questa mattina, a Palazzo di Città, il progetto “Una rete per l’inclusione” realizzato da un consorzio di enti del terzo settore sotto la direzione del Ministero della Giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, attraverso interventi mirati in cinque regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) con il coinvolgimento di enti del privato sociale e imprese.
Obiettivo dell’intervento, finanziato dal PON Legalità del Ministero dell’Interno con fondi Europei, è quello di costruire percorsi di inclusione sociale e riabilitazione per circa 200 giovani di età compresa fra 16 e 24 anni sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile, in carico ai Servizi Minorili della Giustizia, attraverso attività di formazione al lavoro.
Si tratta di un consistente investimento per coinvolgere il mondo del profit e del privato sociale nell’individuazione di percorsi di inclusione sociale che possano contrastare i fenomeni delle devianze giovanili sul territorio, valorizzando le risorse comunitarie.
Al contempo il progetto offre un’importante opportunità per i giovani che, attraverso questa esperienza, potranno sviluppare competenze professionali e relazionali che favoriranno il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Con questo progetto il Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità rafforza il proprio impegno nella realizzazione delle proprie finalità istituzionali attraverso il coinvolgimento attivo della società civile ed in particolare valorizzando la funzione educativa della formazione professionale.
All’incontro con la stampa sono intervenuti il vicesindaco Eugenio Di Sciascio, il direttore del Centro di Giustizia Minorile di Puglia e Basilicata Giuseppe Centomani, il garante regionale dei detenuti Piero Rossi e il presidente del consorzio “Mestieri Puglia” Vito Genco.
“Oggi presentiamo questo progetto a cui teniamo molto – ha esordito Eugenio Di Sciascio – perché interseca aree fondamentali per lo sviluppo e il futuro stesso di una comunità: guarda al mondo del lavoro ma soprattutto alla possibilità di offrire a ragazzi del circuito penale un’esperienza di tirocinio in azienda utile al loro reinserimento sociale prima ancora che professionale. Crediamo infatti che sia doveroso da parte delle istituzioni offrire a questi ragazzi, alcuni dei quali minorenni, una seconda opportunità perché, anche attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro, sentano di poter cambiare un destino che sembra già scritto. Una scommessa di riscatto e cambiamento che condividiamo con i promotori di questo progetto, resa possibile dalle competenze degli organismi del terzo settore coinvolti”.
“Con questo progetto, attraverso il lavoro, intendiamo inserire in un contesto sociale 200 ragazzi transitati nel circuito penale, 41 dei quali sono in carico ai servizi della Regione Puglia – ha proseguito Vito Genco -. Siamo consapevoli che non sempre il lavoro sia la risposta migliore ai bisogni delle persone, in alcuni casi si deve partire dai bisogni sociali e relazionali. Ma per questo progetto vogliamo utilizzare l’inserimento nel sistema produttivo locale come leva per l’emancipazione sociale dei ragazzi coinvolti. A gennaio si è iniziato a lavorare sul layout organizzativo del progetto e in questi giorni sono partiti i primi tirocini formativi che riteniamo lo strumento più adatto per avvicinarli a un sistema di regole condiviso. Il nostro percorso al fianco di questi ragazzi sarà utile a costruire una rete di protezione sociale istituzionale grazie all’esperienza delle realtà del terzo settore, che fungeranno da cerniera in questa relazione con istituzioni e imprese”.
“Una rete per l’inclusione rappresenta un modello di intervento sul quale stiamo investendo molto e che non vede solo una proposta di addestramento professionale, che da solo non riesce a cambiare la prospettiva, anche psicologica, dei ragazzi rispetto alla vita e al mondo che li circonda – ha affermato Giuseppe Centomani -. Hanno bisogno di un accompagnamento educativo che riesca a trasformare la teoria che questi ragazzi hanno su se stessi e la loro stessa idea di futuro. Il nostro intento è quello di fare in modo che sviluppino di sé l’idea di cittadini attivi e di lavoratori. L’altra idea che stiamo cercando di affermare è che non si tratta di reinserire i ragazzi in un contesto sociale, perché sono già inseriti ma in un ruolo deviante, bensì di riposizionarli nella comunità in una dimensione reciprocamente utile. Vogliamo far sì che questi ragazzi possano scoprire ed esprimere capacità e talenti che magari hanno sempre ignorato di avere a causa delle condizioni di svantaggio iniziali. Sono questi gli obiettivi e il modello educativo che il dipartimento di Giustizia minorile sta cercando di raggiungere, anche attraverso questo progetto. Noi speriamo che questa iniziativa dimostri che non c’è più bisogno di fare singoli progetti che si concludono ad esaurimento delle risorse perché abbiamo bisogno che questi progetti si trasformino in servizi costantemente a disposizione di questi ragazzi che hanno diritto a vedere se stessi come oggetto di investimento sociale per fare esperienze mai vissute prima e avere una prospettiva migliore di vita”.
“Se progetti di questa natura diventano strutturali, rendono sicuramente un miglior servizio alla comunità, dice bene Centomani – ha concluso Piero Rossi – ma non dobbiamo trascurare il valore simbolico di un percorso del genere. Non si tratta solo di includere dei ragazzi attraverso il lavoro – basterebbe affidarli a un sistema produttivo – ma di farsene carico anche in termini affettivi: gli addetti ai lavori del terzo settore saranno impegnati a tenere alta nei partecipanti la motivazione, che rappresenta l’elemento fondamentale per la riuscita di un percorso del genere. Un ragazzo preso in carico dalla comunità per il tramite di alcuni interpreti attivi ha una formulazione di care nei propri riguardi che arriva ad interrogarlo su questioni profonde, come scegliere da che parte stare. L’esercizio attivo della formulazione di un desiderio, seppur orientato da un percorso, mette i ragazzi nelle condizioni di poter aspirare a qualcosa pensando al proprio futuro. L’augurio e è che questi ragazzi possano impiegare il tempo del progetto non tanto e non solo per trovare un lavoro, quanto piuttosto per accendere delle luci dentro di sé che corrispondono ad una nuova consapevolezza di sé e delle loro capacità”.
Bari, 20/04/22
di Redazione