Il dg Migliore: “Evitati viaggi fuori regione per questo tipo di procedure”. Il direttore di ematologia: “Traguardo importante, risultato di 34 anni di attività della scuola ematologica barese”
Al Policlinico di Bari tagliato il traguardo dei 1.000 trapianti di cellule staminali emopoietiche presso l’unità operativa di ematologia. Un percorso iniziato nel dicembre del 1989 dai medici Enzo Pavone e Angelo Ostuni, che sotto la direzione del prof. Vincenzo Liso eseguirono i primi trapianti, e proseguito negli anni dalla prof. Giorgina Specchia e Domenico Pastore e che oggi vede l’attività trapiantologica coordinata dalla dottoressa Paola Carluccio, responsabile del programma trapianti, e dal prof. Pellegrino Musto, attuale direttore dell’ematologia universitaria.
“Siamo molto orgogliosi di aver raggiunto il traguardo dei 1.000 trapianti di cellule staminali emopoietiche qui al Policlinico. Questo importante risultato dimostra la dedizione e la competenza del personale dell’ematologia. Se oggi possiamo parlare di una scuola ematologica barese è proprio grazie al lavoro riconosciuto dei professionisti che si sono avvicendati qui negli ultimi 34 anni. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è fondamentale per il trattamento di molte malattie ematologiche e continueremo a migliorare la qualità della nostra assistenza ai pazienti per evitare viaggi fuori regione per questo tipo di procedure”, commenta il direttore generale del Policlinico, Giovanni Migliore.
“Quello di oggi – sottolinea Musto – è un importante traguardo, con risultati assolutamente in linea con la letteratura internazionale, raggiunto grazie alla professionalità, alle competenze e alla abnegazione di tutto il personale dell’Ematologia, in particolare di quello della Unità Trapianti: medici, infermieri e altre figure professionali indispensabili per lo svolgimento di una attività così complessa, che hanno profuso il loro impegno, negli anni passati come in quelli correnti. La pandemia e alcune difficoltà logistiche hanno temporaneamente rallentato le nostre attività, ma per fortuna sono ormai superate. Considero peraltro questo risultato, che va naturalmente condiviso con la Direzione Strategica del Policlinico, come un punto di partenza per una prospettiva che spero possa a breve garantire ai pazienti pugliesi l’inizio anche di altre procedure innovative, come l’uso delle CAR-T”.
Nel dettaglio, presso l’ematologia del Policlinico di Bari, sono stati ad oggi effettuati 661 trapianti autologhi e 339 allogenici, di cui 171 da fratello/sorella, 131 con donatori da registro non consanguinei e 37 aploidentici.
“Quello che ancora oggi è più comunemente noto come trapianto di midollo osseo – spiega la dottoressa Carluccio – è una procedura basata sulla infusione di cellule staminali emopoietiche, prelevate dal midollo o dal sangue periferico del donatore o del paziente. Lo scopo è quello di consentire una rapida ripresa della produzione di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine normali dopo una fase di chemioterapia intensiva pre-infusione che è mirata ad eliminare del tutto le cellule neoplastiche ancora presenti nel paziente dopo il trattamento iniziale”.
“Nel caso del trapianto allogenico – ricorda la dottoressa Imma Attolico, dirigente medico della Unità trapianti – la fonte di cellule staminali può essere un donatore familiare immunologicamente compatibile, in particolare un fratello o una sorella del paziente, oppure un genitore o un figlio (in questo caso si parla di trapianto aploidentico). Se un donatore familiare non è disponibile, si può ricorrere a un donatore compatibile ricercato nei registri internazionali. Nel caso del trapianto autologo è invece lo stesso paziente ad essere donatore di se stesso”.
Il trapianto allogenico trova oggi la sua principale indicazione nei pazienti affetti da leucemia acuta mieloide o linfoblastica, ma anche nella mielofibrosi, nelle sindromi mielodisplastiche e nell’aplasia midollare. Questa procedura, in cui le cellule del donatore svolgono anche una attività immunologica aggiuntiva diretta contro le cellule del tumore, ha come finalità la guarigione del paziente, ma può essere tuttavia gravata dal rischio di alcune serie complicanze, come le infezioni, la malattia veno-occlusiva e la “malattia da trapianto contro l’ospite”, che possono condizionarne seriamente l’esito. Il trapianto autologo viene invece oggi utilizzato principalmente in pazienti affetti da mieloma multiplo e in alcune forme di linfoma, dove può assicurare lunghe fasi di remissione di malattia e, talora, guarire il paziente. Va sottolineato, tuttavia, che le procedure trapiantologiche non sono praticabili in tutti i pazienti ed è necessario che vi siano delle condizioni preliminari (età non avanzata, assenza di altre patologie concomitanti, una buona risposta alla terapia effettuata prima del trapianto) affinchè possano essere ottenuti i migliori risultati.
“Devo naturalmente sottolineare – conclude il prof. Musto – il contributo fondamentale di Donata Mininni, responsabile del Laboratorio di tipizzazione tessutale e immunologia dei trapianti, e quello dell’intero gruppo della Medicina Trasfusionale, diretto da Angelo Ostuni, che si è fatto carico delle terapie di supporto e di tutte le procedure di raccolta delle cellule staminali effettuate in loco. Vorrei inoltre citare l’AIL Bari, che non ci ha mai fatto mancare il suo concreto sostegno, tutti i colleghi delle altre specialità del Policlinico ospedaliere e universitarie, cliniche, laboratoristiche e di imaging, che hanno fornito quotidianamente il loro prezioso supporto, il Centro Regionale Trapianti, diretto Loreto Gesualdo e le ematologie della Rete Ematologica Pugliese, che hanno trapiantato alcuni nostri pazienti nei momenti più difficili ”.
Bari, 28/04/23
di Redazione